LAVORO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE, QUALE FUTURO PER LE PA?

INNOVAZIONE

di Donato Bonanni

 

Il FORUM PA (al Palazzo dei Congressi di Roma) ha visto il coinvolgimento delle pubbliche amministrazioni, delle imprese, del mondo della ricerca e della società civile, per confrontarsi e per presentare soluzioni innovative in grado di migliorare l’attuale situazione della PA italiana.

In tale contesto, la discussione non poteva che giungere alle considerazioni che ormai fanno parte della preoccupazione d’obbligo in ogni ambiente culturale, sociopolitico ed economico. Il cruccio principale, in questi ambiti, riguarderebbe almeno due aspetti: l’uomo sarà ancora in grado di governare la macchina, oppure la macchina sarà tanto evoluta da dominare essa stessa l’uomo? L’altro dilemma, assai in voga, sarebbe quello della sicura disgrazia in cui incapperebbero i lavoratori, perdendo il “posto” a causa dell’incontenibile pervasività dell’intelligenza artificiale. Ma si potrebbe affermare che sotto il sole non ci sia nulla di nuovo. Ogni volta che una grande invenzione si affaccia al balcone della nostra vita, subito c’è chi va a guardare solo il possibile risvolto negativo. 

Quando siamo al cospetto di ciò che non conosciamo, si fanno avanti grandi dubbi, subito amplificati da chi cerca consenso a buon mercato. Penso alla nota rivolta degli operai inglesi di fine ‘700. Essi distrussero i primi telai meccanici nelle fabbriche per evitare che si sostituissero a loro. Furono istigati da Ned Ludd, da cui derivò l’appellativo di movimento luddista. Dopo due secoli e più, il loro mantra risuona ancora, rinnovando l’ostilità verso lo sviluppo tecnologico nel mondo del lavoro. Ma, al contrario di quell’epoca, l’avversione antimoderna, oggi, non si esprime con propositi di distruzione delle macchine, ma con richieste di risarcimento allo Stato, dedicate a chi correrebbe il rischio di perdere il lavoro. Infatti, il guru dell’IA Geoffrey Hinton, nella conferenza di Roma, ha proposto un reddito universale garantito per proteggere i lavoratori dall’impatto sull’organizzazione del lavoro dell’intelligenza artificiale, che sottrarrebbe al lavoro umano molto spazio per la produttività che aumenterebbe fino a cinque volte in più. Parliamo, nella sola pubblica amministrazione, di un surplus di oltre 200mila impiegati su circa 3 milioni di addetti. Stante a queste ipotesi, a detta di Hinton, lo Stato dovrebbe comunque garantire uno stipendio ai suoi dipendenti per supplire alle varie evenienze della vita quotidiana. Anch’io penso che in questi frangenti il potere pubblico debba in qualche modo intervenire, ma il sostegno da offrire ai lavoratori con i soldi dei contribuenti dovrebbe riguardare il loro aggiornamento professionale, per cambiare la loro predisposizione alla rivoluzione in corso. Anzi, occorreva intervenire molto prima in tale modo. Diversamente, come già accaduto con il reddito di cittadinanza, l’aiuto con un mero salario di sopravvivenza deresponsabilizzerebbe i fruitori di assistenza, privandoli di una vita libera e dignitosa; ne soffrirebbero il mercato del lavoro, le aziende e i contribuenti. L’umanità, nella sua storia, ha affrontato mille volte i cambiamenti e ha compreso che per evitare il costo dell’inadeguatezza a gestire lavori nuovi con le vecchie modalità, è necessario prepararsi, studiare, applicarsi fino a giungere al dominio delle nuove tecnologie. Più è veloce l’acquisizione di nuove abilità professionali, più agevole è il passaggio dal vecchio lavoro al nuovo. Il mondo che abitiamo ha potuto progredire sempre in tale modo, nonostante i dubbi e i freni degli onnipresenti antimoderni.