LA PRATICA DELLA SCRITTURA MANUALE

CULTURA

di Renato Candia

 

Una recente ricerca del National Literacy Trust, un ente di beneficenza di area anglosassone che si occupa di alfabetizzazione, ha messo in evidenza come sempre meno bambini coltivino l’abitudine di scrivere a mano quotidianamente.

La ricerca fa coincidere questo drastico calo della pratica amanuense con l’immissione nel mercato del primo iPhone, intervenendo su uno dei molteplici versanti che riguardano l’apprendimento digitale in età scolare. La questione riguarda non poco anche il nostro Paese.  L’Osservatorio Carta, Penna e Digitale della Fondazione Einaudi, per esempio, che si occupa dei processi di trasformazione della scrittura e di ricerca nel campo di una corretta dieta mediatica capace di valorizzare i punti di forza di carta e digitale, ha evidenziato in proposito un aumento del 163% dei casi di disgrafia negli ultimi 10 anni, finendo col chiedersi quali effetti potrebbero sussistere in relazione ad un corretto sviluppo delle capacità psico-fisiche dei giovani e alla loro sostenibilità ambientale. 

La scrittura manuale, come tutti sanno, è l’esercizio basilare che già affrontano gli studenti più giovani all’inizio del loro ciclo scolastico di apprendimento. A partire dai primi giorni di scuola, i piccoli alunni compongono a uno a uno lettere e grafemi, esercitando azioni sensibili: tenere la penna in mano, tracciare segni su un foglio, rispettare nel tratto i confini spaziali di righe e/o quadretti, premere la penna sulla superficie del quaderno, distinguere ciascun segno generato dal gesto della propria mano, ecc… L’esperienza pratica, la manipolazione, la creazione di manufatti generano apprendimento efficace, ricerca e raggiungimento di risultati (“Learning by doing” secondo il pensiero di John Dewey, tutt’oggi di grande attualità). Ma ci sono anche altre questioni che il nostro sistema scolastico tiene da tempo in grande considerazione. Riprendendo, per esempio, le azioni a) del rispetto del tratto grafico e b) del saper distinguere tra loro i segni, non si possono non evidenziare le pratiche di esercizio dell’intelligenza spaziale (con riferimento al lavoro di Howard Gardner) e del pensare per immagini (anche Visual Thinking, nella prospettiva gestaltica elaborata in origine da Rudolf Arnheim), che costituiscono tutt’oggi i fondamenti della progettazione didattica della scrittura nel primo ciclo di istruzione, con riferimento particolare alla scuola primaria. Vanno ricordati, inoltre, quegli aspetti che caratterizzano il percorso di apprendimento, con una particolare attenzione a quegli interessi che attraversano trasversalmente le discipline di insegnamento: l’importanza, per esempio, del connubio tra la scrittura e l’educazione motoria. In questo caso non si tratta soltanto di esercitare il coordinamento motorio dell’alunno, ma si affrontano anche specifiche abilità comuni come, per esempio la discriminazione visiva, che si riferisce alla capacità di riconoscere uguaglianze, somiglianze e differenze tra le forme, consentendo un approccio corretto alla varietà di segni della lingua scritta (qual è la variante grafica tra una p e una q, simili ma non uguali, ecc...). Così, se nella pratica motoria si lavora (tra l’altro) sulla differenziazione tra figura e sfondo, per consentire di avere visione di distanze e campo d’azione, nell’ambito della scrittura manuale di questa abilità, si esercita la spaziatura della pagina all’interno di percorsi già tracciati, fatti di righe e quadretti di misure diverse. La scrittura digitale è essenzialmente selezionatoria: lettere e grafemi stanno sulla tastiera, sullo schermo del tablet o dello smartphone, vanno quindi cercate, trovate e selezionate. Nella scrittura manuale vanno invece pensate e costruite con gesto diverso, meno meccanico e potenzialmente più creativo, tanto quanto lo è la singolarità della scrittura di ognuno. Lo raccontava efficacemente Gianni Rodari in quel capitolo della sua Grammatica della fantasia dove parlava delle reazioni a catena provocate da una parola gettata nella mente, proprio come un sasso nello stagno. Ed è proprio con le lettere che compongano la parola “sasso” che Rodari si mette a giocare costruendo, tra acronimi e incroci vari, esempi di radici per racconti, poesie e filastrocche che la fantasia, la memoria e le suggestioni di immagini evocate possono in qualunque momento trasformare in un originale discorso compiuto.