RITORNO AL NUCLEARE

AMBIENTE

di Donato Bonanni

 

Nei prossimi anni, la domanda di energia elettrica in Italia continuerà ad aumentare (nel 2023 la richiesta è stata pari a 305,6 TWh) per effetto di un’economia sempre più variegata e di un crescente mercato relativo all’intelligenza artificiale e alle altre innovazioni digitali, queste ultime capaci di trasformare radicalmente il mondo del lavoro (e la sua organizzazione), la produzione e i nostri stili di vita.

L’attuale composizione del mix energetico utilizzato per la produzione di elettricità non è realmente in grado di coprire il sempre più pressante fabbisogno nazionale e le fonti rinnovabili, come l’energia solare e quella eolica, creano squilibri nel sistema elettrico a causa della loro intermittenza (il sole non c’è tutto il giorno e il vento non soffia in modo costante). Per sopperire a questi fenomeni instabili, ci vogliono ingenti investimenti economici, che dovranno servire anche per potenziare la rete e per realizzare sistemi di accumulo dell’energia a batteria. 

Ma questi interventi non potranno essere pienamente efficaci, perché nel frattempo le centrali termoelettriche alimentate a carbone saranno definitamente chiuse e quelle a gas non ci faranno dormire sonni tranquilli a causa della volatilità del prezzo dello stesso combustile fossile, alla luce soprattutto delle crisi geopolitiche nell’Europa dell’Est e nel Medio Oriente. Affidarci solamente alle fonti rinnovabili (idroelettrico, geotermia, solare, eolico, bioenergie) è quindi un rischio per la tenuta del sistema elettrico, in quanto le stesse non garantiscono la medesima capacità di penetrazione delle fonti convenzionali. Sarà fondamentale, allora, integrare nel mix energetico altre tecnologie a zero emissioni, programmabili e con la minima occupazione di suolo, nonché con numerosi benefici economici, ambientali e sociali. Una di queste è l’energia nucleare (a fissione): una fonte pulita, sicura, abbondante e poco costosa, in grado di contribuire concretamente alla decarbonizzazione dell’economia e al raggiungimento dell’obiettivo globale “zero emissioni Co2”. Una possibilità che, tuttavia, l’Italia ha abbandonato da oltre 30 anni (anche se lo Stato continua a comprare grandi quantità di energia nucleare prodotta a pochi chilometri dai confini francesi, svizzeri e sloveni) e che solo adesso sta tornando in campo. Infatti, la scorsa estate, il governo italiano ha rivisto il Piano strategico nazionale integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), evidenziando la necessità di puntare sul ritorno al nucleare, con l’istituzione di un gruppo tecnico incaricato di riordinare il quadro giuridico-regolamentare (anche con riferimento all’iter autorizzativo) e con l’intenzione di inserire nel mix energetico una quota consistente di energia nucleare, garantita soprattutto da piccoli reattori modulari (SMR). Questa esigenza è rafforzata dal fatto che, nel 2050, il consumo energetico potrebbe raggiungere circa 750 Twh. In conclusione, il successo di questa tecnologia (con una buona accettabilità sociale nel mondo e con un interesse sempre più evidente tra le maggiori big tech per quanto riguarda l’alimentazione dei loro data center) dipenderà molto dalla qualità delle campagne formative e informative rivolte alla popolazione e alle scuole, campagne che dovranno contare su dati scientifici e casi concreti. Purtroppo, l’opinione pubblica è sempre più disinformata e abbindolata dall’ideologia dello pseudo ambientalismo, che confonde tossicità con radioattività o che pensa che le scorie siano diverse dai rifiuti. Vale la pena ricordare che la produzione di rifiuti radioattivi avviene nell’ambito della diagnostica, della terapia e della ricerca scientifica e viene gestita senza intoppi. Una scintigrafia o una ricerca scientifica dedicata alle nuove cure per le persone valgono quanto l’energia prodotta dalla stessa fonte nucleare.