di Andrea Lepone
Come evidenziato dai ricercatori, la concentrazione del materiale radioattivo rimane alta per migliaia di anni, dimezzandosi solo dopo 24 millenni.
Un cilindro di ghiaccio, in termini tecnici “carota”, estratto nell’Altopiano Antartico, ha rivelato la presenza di plutonio-239, usato durante gli esperimenti per la produzione di armi nucleari a partire dagli anni ‘50. Il team del Dipartimento di Chimica “Ugo Schiff” dell’Università di Firenze, coordinato da Mirko Severi, Rita Traversi e Silvia Becagli, in collaborazione con l’ENEA, l’Università di Siena e l’Istituto di Scienze Polari – CNR, ha ottenuto dati importanti dallo studio di una carota di ghiaccio della lunghezza di circa 120 metri, estratta tra il 2016 e il 2017, e poi analizzata nei laboratori del polo scientifico di Sesto Fiorentino.
La ricerca “The 239 Pu nuclear fallout as recorded in an Antarctic ice core drilled at Dome C (East Antarctica)”, è stata pubblicata sulla rivista scientifica “Chemosphere”, e fornisce interessanti risposte. Un campione ridotto, quello preso in esame a tremila metri in una delle zone più remote del mondo. Non c’è voluto molto materiale, come spesso è necessario, per misurare la radioattività presente nel ghiaccio. Ciò ha comportato un evidente vantaggio per il team, ed il prosieguo delle attività avviate negli anni novanta, nell’ambito del progetto “European Project for Ice Coring in Antarctica”, tuttora in corso. Quali sono le conseguenze dei test nucleari sull’ambiente? Le risposte arrivano dalla concentrazione di plutonio-239, un isotopo fissile primario usato per la produzione di armi nucleari. Gli esperimenti in Antartide furono condotti dagli inizi degli anni ‘50 agli anni ‘80; oltre 500 i test eseguiti da diversi Paesi, che riversarono nell'ambiente 3 tonnellate di plutonio. La presenza di plutonio nel ghiaccio oggi consente, in primo luogo, di avere una datazione glaciologica precisa degli strati nevosi, oltre ad una precisa successione dei test effettuati, e di comprendere quanto il materiale radioattivo permanga nell’ambiente, avendo un impatto significativo su quest'ultimo. Potremmo sapere, dunque, quanto il pianeta sia in salute, anche esaminando una piccola quantità di neve. Il ghiaccio della Groenlandia, ad esempio, ha maggiori concentrazioni di plutonio-239 rispetto all’Antartide, per i tanti esperimenti condotti dall’allora Unione Sovietica. Come evidenziato dai ricercatori, la concentrazione del materiale radioattivo rimane alta per migliaia di anni, dimezzandosi solo dopo 24 millenni.