di Donato Bonanni
L’ambientalismo ideologico, presente in diverse forze politiche e nel mondo associativo, ha portato il nostro Paese in una condizione di estrema vulnerabilità energetica, economica e ambientale.
Una malattia che ci trasciniamo da molto tempo e che non riusciamo a curarla. Il Belpaese è stato capace di distruggere il patrimonio tecnologico e scientifico legato all’energia nucleare. Una fonte pulita, sicura e abbondante in grado di contribuire concretamente alla decarbonizzazione dell’economia e al relativo raggiungimento dell’obiettivo globale “zero emissioni Co2”. A casa nostra facciamo affidamento unicamente alle fonti rinnovabili intermittenti e stagionali come il fotovoltaico e l’eolico (che non riuscirebbero a garantire equilibrio nel sistema elettrico) e riceviamo “ipocritamente” a caro prezzo circa il 4 per cento dell’elettricità grazie alle vicine centrali nucleari francesi e slovene.
Va tutto bene se la importiamo ma dalle nostre parti i reattori non li accettiamo. La gestione dei rifiuti urbani e industriali va a macchia di leopardo. Da Roma in giù milioni di tonnellate di rifiuti non vengono riciclati e valorizzati per produrre energia “pulita” vicino casa ma devono essere trasportati a caro prezzo (fino a 300 euro a tonnellata) nei Paesi europei o nelle regioni del Nord Italia facendo ottenere a questi ultimi e alle loro comunità notevoli vantaggi ambientali, economici e sociali. In particolare, ci sono capitali europee che trasformano i termovalorizzatori in centri di attrazione turistica tra poli tecnologici, piste da sci e altri percorsi di intrattenimento: un perfetto esempio di città intelligente tra energia e rigenerazione urbana per rendere il territorio più sostenibile e sicuro. A Roma, invece, mancano tutte le tecnologie innovative indispensabili per la chiusura corretta del ciclo dei rifiuti quali i biodigestori, gli impianti di selezione e di riciclo di plastica, carta e vetro e i termovalorizzatori. A rimetterci sono i cittadini (a volte corresponsabili per il rifiuto di accettare gli impianti in casa propria) che subiscono tasse sempre più salate a fronte di disservizi continui tra mancata raccolta dei rifiuti e scarsa manutenzione dei relativi mezzi. Insomma, siamo ancora lontani dall’attuazione dei principi sacrosanti dell’economia circolare e dal raggiungimento degli obiettivi UE della transizione ecologica. Rispetto ai gasdotti, in Puglia la TAP non ha avuto vita facile. Per diversi anni le forze populiste e i movimenti locali hanno duramente contestato il progetto per l’impatto ambientale e per la presunta scarsa utilità strategica alla luce del declino della domanda di gas in Europa. Una volta salito al potere, il M5S ha rimesso in gioco il progetto fino alla sua completa realizzazione. Con la crisi energetica prima, e la guerra in Ucraina poi, anche i grillini sono stati costretti a riconoscere la validità dell’opera. E potremmo continuare con altri esempi tristi di infrastrutture bloccate in Italia. Come possiamo allora sconfiggere gli egoismi localistici e i pregiudizi di un certo ambientalismo ideologico e catastrofista? Quando riusciremo ad avere un ecologismo responsabile e del buon senso che sappia coniugare le esigenze della natura con quelle dell’uomo? La risposta è molto semplice. Una nuova e diversa cultura ambientale (basata sull’informazione “scientifica” e chiara) rivolta a tutti i cittadini per creare un contesto sociale favorevole all’attuazione strategica del processo di diversificazione del mix energetico, quale chiave di sviluppo sostenibile e di sicurezza nazionale, e una buona scuola per le nuove generazioni sempre più sensibili e attente al futuro del nostro Pianeta.