di Natale Forlani
Le applicazioni di intelligenza artificiale possono favorire una forte crescita della produttività ma anche un contemporaneo incremento dell’impatto dei fattori che hanno destabilizzato i modelli di tutela del lavoro e del Welfare nei paesi sviluppati nel corso degli anni 2000: la rapida obsolescenza dei profili professionali; la delocalizzazione delle produzioni a livello globale; l'invecchiamento della popolazione.
La capacità di contenere i costi sociali e di redistribuire equamente i benefici in termini di reddito e di accesso ai nuovi servizi dipenderà dal tasso di innovazione sociale generato dalle istituzioni e dalle rappresentanze sociali. In un recente articolo dedicato al tema sono stati evidenziati tre ambiti di innovazione: il ripensamento dei rapporti tra il capitale e il lavoro per valorizzare il ruolo delle risorse umane; le riforme delle prestazioni sociali che possono offrire risposte ai nuovi fabbisogni delle persone anziane; l'adeguamento delle governance degli interventi per coinvolgere in presa diretta i protagonisti economici e sociali che possono offrire soluzioni e mobilitare le risorse dedicate alle finalità sopracitate.
La transizione digitale si presenta assai problematica nel caso italiano per via del tasso ridotto di occupazione (circa 9 punti in meno rispetto alla media dei paesi UE, equivalenti a poco meno di 3 milioni di posti di lavoro), per la particolare concentrazione di una parte rilevante degli occupati nelle fasce professionali medio basse e per la riduzione della popolazione in età di lavoro (4 milioni entro il 2035). Negli ultimi tre anni, la domanda di lavoro è risultata superiore all'offerta di lavoro a causa della carenza di competenze coerenti con i profili professionali richiesti, ovvero per la mancata disponibilità dei lavoratori a svolgere determinate mansioni (mismatch). Si tratta di un fenomeno che ha favorito la propensione delle imprese ad assumere a tempo indeterminato i lavoratori disponibili ma che mette in rilievo la scarsa capacità del sistema formativo, complessivamente inteso, di offrire un contributo per generare le risorse umane che possano trasferire e utilizzare le tecnologie digitali nelle organizzazioni lavorative. La qualità del nostro mercato del lavoro risulta penalizzata dalle dinamiche negative dei salari reali che risentono della decrescita degli investimenti e della bassa produttività del capitale e del lavoro in molti comparti dei servizi privati, i quali hanno un peso rilevante sull'occupazione totale. Sulla riduzione dei salari medi pesa il blocco del turn over della pubblica amministrazione nella seconda decade degli anni 2000 e il mancato sviluppo dei settori della sanità, dell'assistenza sociale e dell'istruzione, i quali hanno rivestito un ruolo importante per la crescita dell'occupazione e per l'impiego di giovani e donne laureate in molti paesi europei. L'incidenza della spesa sociale italiana sul Pil risulta del tutto allineata a quella media dei paesi UE (33%), ma è superiore per quanto concerne la componente pensionistica e la quota destinata ai sostegni ai redditi. Risulta, invece, inferiore per quanto riguarda la quota dedicata alla sanità e all'istruzione (per un importo medio equivalente a 2 punti del Pil anno e a circa 500 mld di mancati investimenti nel corso degli ultimi 15 anni).
Le dinamiche descritte sono destinate a subire un ulteriore deterioramento per le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione: un esodo di lavoratori anziani sarà di gran lunga superiore al flusso di ingresso delle giovani generazioni. Per quanto riguarda la sostenibilità delle prestazioni sociali, vi sarà un aumento delle persone a carico della collettività e una riduzione del numero di potenziali lavoratori contribuenti. Nel caso italiano, l'impiego diffuso delle tecnologie digitali potrebbe rappresentare una risposta a questi problemi, ma la transizione digitale non dipende solo dalla dotazione di tecnologie e infrastrutture, bensì dalla massa critica delle risorse umane imprenditoriali, manageriali, tecniche ed esecutive in grado di trasferirle ed utilizzarle nelle organizzazioni lavorative. L'aumento delle risorse umane competenti può avvenire a tre condizioni: l'obiettivo di rigenerare la quantità e la qualità della popolazione attiva è assunto come una priorità dalle politiche istituzionali; riformare le misure del Welfare e orientare la domanda pubblica di prestazioni, per rendere gestibili le transizioni lavorative e per soddisfare i fabbisogni relativi alla cura delle persone, saranno azioni poste in primo piano; la razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse pubbliche per le finalità sopradescritte sarà affiancata dal concorso delle rappresentanze del mondo del lavoro, delle istituzioni formative e delle organizzazioni del terzo settore. Il cambio di paradigma è evidente. Ereditiamo una stagione di politiche orientate a soddisfare una domanda crescente di interventi da parte dello stato rivolti a risarcire le persone e le categorie danneggiate dai processi di ristrutturazione dell'economia. Nel corso degli ultimi 15 anni, i trasferimenti dello stato all'Inps per finanziare le prestazioni assistenziali, i pensionamenti anticipati, i sostegni ai redditi, i bonus di varia natura, gli sgravi contributivi per le assunzioni e per le retribuzioni, hanno mobilitato circa 600 miliardi di euro di spesa corrente aggiuntiva. Una mole enorme di risorse che ha contribuito in modo paradossale ad alimentare il flusso delle persone a carico della collettività e la pressione fiscale sui ceti produttori.