UN GIUBILEO ALL’INSEGNA DELLO SMART WORKING

CULTURA

di Donato Bonanni

 

Le tecnologie digitali hanno radicalmente cambiato il nostro stile di vita, soprattutto il nostro modo di lavorare, contribuendo al raggiungimento di alcuni obiettivi di sostenibilità non solo ambientale, ma anche economica e sociale, a beneficio di tutta la comunità.

Pensiamo alle aziende che ricorrono al lavoro agile (introdotto con la legge n°81 del 2017) per contenere i costi fissi relativi agli spazi di lavoro e alle mense, ai materiali di consumo, alle utenze energetiche. Oppure agli smart workers che risparmiano sui costi di trasporto (eliminando i tempi del trasferimento casa-ufficio-casa ed evitando, di conseguenza, il traffico stradale) e che riescono a raggiungere un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata (work-life balance) e ad ottenere un ambiente di lavoro più accogliente all’interno della propria abitazione o in altri luoghi adatti alle proprie necessità (emblematica la scelta di diventare abitanti “temporanei” nelle piccole città, nei borghi storici o in quelli abbandonati).

È indubbio che questi benefici contribuiscano anche all’aumento della motivazione e della soddisfazione degli stessi lavoratori agili; ne consegue una maggiore produttività. Si tratta, dunque, di una modalità di lavoro flessibile, in cui lo smart worker decide, con un buon grado di autonomia, la sede e i tempi di svolgimento delle attività, mirando al raggiungimento degli obiettivi condivisi con il datore di lavoro, da centrare entro un periodo determinato. Durante la pandemia, il lavoro agile ha funto da ancora di salvezza per tante persone. Le grandi aziende hanno fatto lavorare da casa decine di migliaia di collaboratori, con uno sforzo organizzativo impressionante. Le medie e piccole imprese, invece, non sono state all’altezza della situazione, non riuscendo a far progredire e adattare i propri processi e le proprie tecnologie al fine di supportare questa modalità lavorativa, lasciando così i propri collaboratori sprovvisti di strumenti, di conoscenze digitali e di competenze specifiche, come la consapevolezza e la responsabilizzazione, fondamentali per svolgere e affrontare questa nuova cultura professionale. Una volta riacquistati i nostri spazi di libertà (grazie alle vaccinazioni e alla generale prevenzione), diverse multinazionali hanno cominciato a criticare lo strumento dello smart working, arrivando ad affermare di non credere che una società in cui le persone lavorino da remoto sia migliore di un’altra che non preveda il lavoro agile, richiamando ben presto i propri collaboratori a svolgere le attività in azienda. Posizioni non condivisibili e lontane dalle reali esigenze dei lavoratori, in particolare di quelli giovani. Ne sanno qualcosa i selezionatori del personale nelle aziende, alle prese con tante rinunce relative all’impiego. Ormai infatti, la prima richiesta di chi si presenta a un colloquio di lavoro è proprio il ricorso allo smart working. Mentre il settore privato fa fatica ad accettare un nuovo modello di organizzazione professionale, le amministrazioni pubbliche hanno deciso di investire nel settore per mettere al centro la persona e la sua dignità. Ad esempio, per far fronte al Giubileo 2025, il Comune di Roma e le organizzazioni sindacali hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per rafforzare il ricorso al lavoro agile per la metà dei dipendenti capitolini, con l’obiettivo di decongestionare il traffico (che, comunque, non significa necessariamente ridurre l’inquinamento atmosferico) e di migliorare l’efficienza organizzativa. Un primo, importante passo per rendere più smart ed efficiente la macchina burocratica della città, ma il passo decisivo sarà (come ricordato in precedenza) quello di dotare i lavoratori di tutti gli strumenti e di tutte le conoscenze digitali, senza tralasciare le competenze specifiche, utili ad affrontare senza problemi una modalità lavorativa flessibile e intelligente.