CULTURA
di Donato Bonanni
Quante volte ci capita di assistere a scene incredibili di turisti o di cittadini dediti a fare i loro bisognini per le strade, per i parchi o nei vecchi orinatoi del centro storico (risalenti al periodo umbertino), non più utilizzabili per la loro insostenibilità.
Cattive abitudini accompagnate da necessità impellenti, preferibili alla ricerca continua e faticosa di bagni privati presso bar, ristoranti, locali (e persino alberghi), il cui utilizzo viene concesso con un certo fastidio da parte dei proprietari. Dopo aver abdicato dinnanzi alla cattiva gestione dei rifiuti e alla scarsa pulizia e manutenzione delle strade, Roma si trova anche ad essere una delle poche città europee a non avere bagni pubblici che rispettino le più elementari regole di decoro e igiene. L’amministrazione comunale ha una gestione diretta e indiretta dei bagni pubblici (circa 80 e a pagamento) che versano in pessime condizioni e spesso non sono funzionanti. Andiamo per ordine. Il Dipartimento Tutela Ambientale ha in carico 7 bagni ubicati nei parchi, 10 strutture in muratura nelle zone turistiche e 10 servizi igienici automatizzati installati in occasione del Grande Giubileo del 2000.
Il Dipartimento Grandi Eventi, Sport, Turismo e Moda ha affidato alla società P.STOP Srl la gestione di 11 servizi igienici pubblici situati all’interno delle strutture di accoglienza turistica sparse tra le vie e le piazze storiche della città, e alla società Zètema Progetto Cultura Srl un solo bagno pubblico posizionato nei pressi dei Fori Imperiali. ATAC Spa (la municipalizzata del trasporto pubblico locale) gestisce e cura i bagni automatizzati di alcune stazioni della metropolitana, mentre ASTRAL Spa ha in carico 20 servizi igienici che si snodano lungo le ferrovie Roma-Civita Castellana-Viterbo e Roma-Lido. I tredici servizi igienici dei mercati rionali, di competenza municipale, sono il più delle volte gestiti direttamente dalle associazioni o dalle cooperative che operano all’interno dei mercati stessi. Altri sono i numeri nelle capitali europee, dove i bagni pubblici, oltre ad esistere, sono spesso oggetto di attrazione per cittadini e turisti. Dalle pop-up toilets di Londra, agli urinoirs di Amsterdam, dalle 200 public toilet ottocentesche riqualificate di Vienna alle oltre 400 sanisettes autopulenti gratuite di Parigi. Queste ultime, oltre ad essere “green” (utilizzano esclusivamente acqua piovana, con un risparmio idrico rilevante), sono accessibili ai disabili. Nell’antica Roma, i bagni pubblici erano un esempio innovativo di architettura sociale, con strutture confortevoli e funzionali atte a contrastare il degrado e la cattiva igiene pubblica di quei tempi. In particolare, l’imperatore Tito Flavio Vespasiano decise di sottoporre i gabinetti pubblici (i vespasiani) a tassazione. L'imposta era dovuta dai cosiddetti fullones, coloro che lavavano e smacchiavano le vesti, i quali ricavavano ammoniaca dalle urine dai romani che transitavano nei bagni dell'impero. Insomma, gli antichi romani sono stati ingegnosi anche nei servizi di igiene urbana, creando tasse e rilanciando l’artigianato grazie ad un composto chimico come l’ammoniaca. Il Giubileo si avvicina e la città di Roma si troverà impreparata nell’accogliere e gestire un flusso straordinario di turisti e pellegrini, dal momento che non potrà nemmeno garantire una rete di bagni pubblici diffusa, efficiente e pulita. L’investimento complessivo di tre milioni di euro di fondi giubilari (deliberato dall’attuale Giunta capitolina) per la riqualificazione e manutenzione delle strutture igieniche esistenti è una miseria rispetto alla complessità della manifestazione mondiale e alle esigenze quotidiane dei cittadini. La qualità dello spazio pubblico e la possibilità per i cittadini di usufruirne serenamente passano anche dal numero e dall’efficienza dei bagni pubblici. La cultura del bagno pubblico rappresenta uno straordinario barometro della civiltà e dell’accoglienza di una città. Purtroppo, Roma è, ancora una volta, tutt’altro che attrezzata.