di Federico Giannone
L’accesso ai servizi sociali territoriali risulta difficoltoso per molte famiglie con anziani o disabili a carico. Eppure due leggi hanno operato nel corso degli ultimi 20 anni significativi miglioramenti nell’assistenza sociale.
La prima è la 328/2000, legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Tale legge delinea le azioni di intervento nei servizi sociali, ricercando il benessere, promuovendo autonomia e solidarietà, attraverso l’offerta e il coordinamento di servizi, risorse e prestazioni. La legge individua le competenze del privato, della comunità locale e della cittadinanza attiva. La 328/2000 muta la concezione degli interventi rispetto a quanto avveniva in passato, passando da una nozione di assistenza, intesa come luogo di bisogni, ad una accezione di protezione sociale attiva, intesa come luogo di esercizio della cittadinanza.
Attraverso i piani di zona e la programmazione partecipata viene costruita la comunità locale, favorendo gli interventi e i modelli organizzativi che promuovono e incoraggiano la libertà e le iniziative di auto mutuo aiuto. Prima di tale normativa la Legge Crispi del 1890 aveva costituito la norma organica di riferimento per l’assistenza sociale. In seguito numerosi sono stati i cambiamenti e le riforme, ma solo con la legge del 2000 si è giunti alla creazione di un quadro normativo unitario. Essa ha innanzitutto segnato il passaggio dalla concezione di utente quale portatore di un bisogno specialistico a quella di persona nella sua totalità; quindi il passaggio da una accezione tradizionale di assistenza, intesa come realizzazione di interventi meramente riparativi del disagio, ad una di protezione sociale attiva, volta alla rimozione delle cause di disagio ma soprattutto alla promozione dell’inserimento della persona nella società attraverso la valorizzazione delle sue capacità. Il secondo intervento legislativo che sta portando significativi miglioramenti nell’assistenza sociale è il dlgs n.117 del 2017. Conosciuta anche come Riforma del Terzo settore prevede che le amministrazioni pubbliche, nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività degli enti del terzo settore ne assicurano il coinvolgimento attivo attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento, poste in essere nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonchè delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona. La co-programmazione “è finalizzata all’individuazione dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili”; è quindi il momento in cui il Terzo settore può partecipare a pieno titolo alla formazione delle politiche pubbliche, portando la propria capacità di lettura. La co-progettazione “è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti” sulla base degli strumenti di co-programmazione prima richiamati. L’esito di questo processo può anche consistere in forme di accreditamento, con la costituzione di un albo aperto di soggetti con cui un ente pubblico può stabilmente collaborare su specifici interventi. Tale modalità di relazione richiede una non irrilevante evoluzione da parte dei soggetti coinvolti. Gli enti pubblici sono chiamati a suscitare, integrare, coordinare un insieme differenziato di risorse, anziché a gestire in proprio o attraverso fornitori. Agli enti del Terzo settore è richiesta la capacità di assumere nuove responsabilità pubbliche, e la capacità di vedere oltre ai confini della propria organizzazione. Per tutelare la trasparenza a garanzia dell’uniformità di trattamento, per la co-programmazione, la co-progettazione e conseguente gestione, le pubbliche amministrazioni devono indire bandi pubblici per definire chi siano gli enti del Terzo settore ammessi a contribuire alle politiche pubbliche. In tali bandi viene pertanto richiesto, oltre che di comprovare di essere un Ente del terzo settore (Ets), di essere in possesso dei requisiti di onorabilità che autorizzano a intrattenere i rapporti con le amministrazioni e di competenze specifiche sui temi oggetto di co-programmazione o co-progettazione. Può anche essere richiesto un elaborato iniziale con idee e proposte, così da individuare soggetti in grado di contribuire adeguatamente al lavoro dei tavoli. Il bando deve inoltre specificare quale sarà il meccanismo di funzionamento di questi ultimi e, se si tratta di co-progettazione cui segue l’effettiva implementazione degli interventi, quali sono le risorse pubbliche messe a disposizione e con quali criteri e modalità verranno attribuite. Gli incontri devono essere verbalizzati a garanzia della trasparenza, sino ad un verbale conclusivo che raccoglie le decisioni assunte. Ad esito dei bandi si seleziona il soggetto o l’insieme dei soggetti di Terzo settore che ha titolo a lavorare insieme alla pubblica amministrazione o per condividere la lettura dei bisogni e delle risorse e delle strategie di intervento (co-programmazione) o per progettare e eventualmente, quindi, gestire servizi e interventi coerenti con il quadro prima delineato (co-progettazione). Si tratta di meccanismi virtuosi che stanno generando un utilizzo più efficiente delle risorse pubbliche e una risposta sempre più mirata ai bisogni sociali del Paese. Il problema rimane però la difficoltà di comunicare queste opportunità alle fasce di popolazione interessate. Sono moltissimi infatti i cittadini che ignorano e per questo non accedono ai servizi sociali gratuiti offerti dagli enti locali. Per questo si rivela più che mai necessario lavorare sulla comunicazione per arrivare a tutti i cittadini.