di Luciano Di Spirito
La trasfigurazione del sé nel mondo digitale, in un rapporto di simbiosi tra reale e virtuale che sfocia nella dipendenza e nel tentativo disperato di liberarsene.
È il baricentro di “Waves”, opera del coreografo Cheng Tsung-lung che ha debuttato in prima europea all'apertura della 18° Biennale Danza di Venezia. Un lavoro collettivo armonico, fluido, creato nel 2023 per l'anniversario dei 50 anni della compagnia taiwanese Cloud Gate Dance Theatre, considerata la migliore in Asia e tra le più acclamate al mondo in ambito contemporaneo per la qualità del movimento e per la capacità di unire lo stile occidentale con la gestualità delle pratiche orientali. Uno spettacolo che tiene incollati al palco sin dai primi istanti, con l'ingresso dei danzatori strappati alla vita reale da una ragnatela di connessioni digitali.
Come usciti dal bozzolo setoso di una crisalide. E prende vita il duetto tra ballerino e alter ego digitale. Con una differenza rispetto ad altri lavori concettualmente simili: sul palco, i ballerini in carne e ossa, 12 interpreti, impersonano il sé, o i diversi sé digitali, mentre sullo schermo che fa da sfondo è il sé umano che diventa virtuale, grazie ad elaborazioni che sfruttano l'intelligenza artificiale. Un sé umano che scappa, bussa, disturba, e che solo in un caso supera la “barriera” che separa i due mondi, per poi venirne nuovamente risucchiato. La coreografia, creata in collaborazione con l'artista multimediale giapponese Daito Manabe, è un incessante moto ondoso. Dà il meglio di sé nelle parti corali, con i danzatori che ricreano quell'onda che conferisce il titolo all'opera con sequenze di grande impatto sul pubblico. Al gruppo si alternano solisti e coppie in un'eterna lotta di attrazione-repulsione tra corpi.