di Cinzia Baldacci
Se accade, nel proprio comportamento, di rintracciare moventi appena distinguibili o espliciti, impulsi latenti o predominanti, di certo spaziamo nell’ambito della coscienza, la quale, nonostante possa sembrare paradossale, si mostra poco chiara e lineare non solo agli altri ma persino a noi stessi.
Tuttavia, quando il viennese Sigmund Freud, tra il 1899 e il 1901, completò gli studi intitolati L’interpretazione dei sogni e Psicopatologia della vita quotidiana, fu allora che la differenza tra “Conscio” (Bewusst) e “Inconscio” (Unbewusstes) apparve risolta, benché fosse stata in qualche modo scoperta da secoli. L’esplorazione dei meccanismi ad essi collegati rappresenta il suo più emblematico contributo al pensiero moderno, al punto di fare dell’Inconscio il cardine della cura dei pazienti afflitti da nevrosi: “Ammettere l'esistenza di processi psichici inconsci significa compiere un passo denso di conseguenze per la scienza e per la vita”.
Nel 1896 utilizzò per la prima volta il termine “psicoanalisi”, idoneo a illustrare la teoria formulata insieme al metodo di trattamento terapeutico. Il celebre neurologo austriaco approfondì quella zona della psiche - la ψυχή (psiuchè) dei fratelli greci - dove nasce ciò di cui l’individuo non ha consapevolezza, tantomeno competenza per intervenire. L’Inconscio (“Id”) costituisce, per natura, una sfera dell’attività psichica lontana dal raggiungere la soglia della consciousness: non risulta, quindi, controllabile razionalmente. Eppure lancia segnali per mezzo dell’universo onirico, o con gli atti mancati, i lapsus, le dimenticanze, le repliche istintive, i quid da rimuovere, le proiezioni. Il livello Conscio (il “Sé”), invece, contiene quanto conosciamo: le idee, gli affetti, la scrittura, le decisioni, i legami con l’ambiente circostante, i ricordi. L’indagine del rapporto tra queste due aree mentali divenne la missione principale del fondatore della psicoanalisi, la più antica tra le correnti della psicologia dinamica: passione per la verità accanto ad assoluta fede nella ragione lo guidarono per decenni, nella sicurezza di potersi impegnare per un mondo nuovo, libero, umano. Nel 1938 l’anziano e malato medico, ormai 82enne, da ebreo fu costretto a lasciare l’Austria occupata dai nazisti per trovare rifugio a Londra, dove morirà un anno dopo. Erich Fromm, tra i suoi maggiori allievi, spiegò come per Freud la razionalità fosse “l’unica facoltà umana che poteva aiutare a risolvere il problema dell’esistenza o, almeno, ad alleviare la sofferenza inerente alla vita umana”. Dunque, l’esclusiva scelta sensata, soprattutto per noi, oggi, circondati da guerre e incessanti conflitti, consiste nell’ascoltare la voce della ragione cercando di intuire quando e come essa si esprime.